L’Ultimo Strappo, l’Ultima Cucitura (Parte IV): Il Divino dell’Apice

Mi sono regalato del tempo che non avevo e l’ho usato per esplorare qualcosa di più di Oita, altre due città, Beppu (別府) ed Usa (宇佐), la prima consigliata dagli amici, la seconda tappa che già mi ero promesso di visitare per l’importanza storico-religiosa che ricopre, entrambe nella prefettura di Oita, nella parte nord-occidentale.

Il treno che mi porta fino a Beppu, prima tappa, scorre sui binari con un fare che sembra più tranquillo del solito. Una volta arrivato a Beppu, mi compiaccio del fatto che la piccola stazione ha due uscite che più chiare di così non si può; 山口 e 海口 rispettivamente “Yamaguchi” (uscita della montagna) e “umiguchi” (uscita del mare). Impossible sbagliare.

Sentendo nell’aria molte più parole coreane che giapponesi (la maggior parte di studenti e coppie), mi dirigo stupito prima verso la parte montuosa di Beppu. Non molto famosa per le sue attrazioni sciistiche, dalla piana però si nota come una parte dei monti che si rivolge verso la città è stata disboscata in modo da creare quella che sembra una pista da sci. Ma non mi posso spingere così oltre. Mi fermo alle pendici delle prime salite, dove incontro l’Hachiman Asami Shrine (八幡朝美神宮), uno dei templi più importanti della città.

L’incontro è mistico e profondo, anche grazie alla particolarità del tempio, dedicato al dio della guerra (Hachiman): una coppia di canfore sacre che svetta poco dopo il torii principale, racchiudendo al loro interno un altro torii più piccolo.

L’ingresso dell’Asami Hachimangu visto dalla parte opposta della strada
La vista delle due canfore “spose”

Mi muovo costeggiando la parte ovest della città fino ad arrivare al Beppu Park (別府公園), luogo verde e di incontro al centro della città, che ospita al suo interno un epitaffio che ricorda Aburaya Kumahachi (1863-1935), uno dei personaggi storici più importanti per la prefettura, riconosciuto da molti come il padre fondatore della moderna idea del turismo in Giappone. Famosa la sua frase “Never forget the entertainment of travellers” che al pari di un motto viene usato per ravvivare sin dai primi anni del ‘900 la città e la sua offerta turistica, con la costruzione di vari Ryokan, seguita dalla costruzione di alberghi, fermate per gli autobus e tutti quei servizi che avrebbero donato al viaggiatore l’esperienza più completa di Beppu.

Situata di fronte alla stazione, possiamo vedere la statua “volante” di Kumahachi e uno deo simboli di Beppu, ovvero le sue sorgenti termali.
I verdi bambù del Beppu Park

A metà tra il mare e i monti, continuo però a scegliere la parte in salita. Ma ne varrà la pena. Con più caldo del previsto addosso nonostante l’aria di un inoltrato ottobre, arrivo al Butsusharitou (仏舎利塔), un tempio buddhista a forma di cupola che bianco svetta tra la vegetazione ed il colore bruno della casa dall’aria stanca. Il tempio consiste soltanto nella cupola, non visitabile, e 4 statue dorate del Buddha in varie posizione di meditazione, ognuna ripercorrendo una fase del suo cammino di illuminazione. Il tempio è stato costruito nel 1973.

Scendendo, mi fermo, prima di tornare al livello del mare, al Nogichitenmangu (乃木散天満宮), come sempre consacrati a Michizane, divinità che incarna la sapienza e l’insegnamento, edificato nel 1517. La particolarità di questo tempio è lo stile (Nagare-zukuri), insieme al fatto che invece che la solita statua di mucca (simbolo di intelligenza e fortuna nella gravidanza), vi sia quella di un leone, a simboleggiare però gli stessi concetti. Fino a qualche secolo fa, nei precinti del tempio si praticava il sumo in estate.

Una volta tornato in città, è ora dell’esperienza più turistica che la città ha da offrire, ovvero quella dei bagni di sabbia (砂風呂, sunaburo). Si tratta di essersi coperti fino al collo da sabbia bollente (circa 50 gradi), stessa temperatura di alcune acque di onsen. La sensazione che si ha però è completamente diversa da quella che si prova stando a galla nelle acque tranquille, nudi. La sabbia compatta fa penetrare con gentile pesantezza il calore nel corpo, che non è libero come quando immerso nell’acqua, non si può ribellare. A Beppu vi sono centri appositi oppure si può sperimentare questa esperienza in alcuni bagni termali o hotel.

L’ultima tappa di Beppu, la più vicina al mare, è la Beppu Tower che include al suo interno il Beppu Art Museum.

La Beppu Tower, di acciaio grigio e arancione, è stata costruita nel 1957, e dal sesto piano in poi accoglie il museo d’arte della città, che espone i lavori degli artisti della prefettura, ma anche quelli ricevuti in regalo da artisti esterni ad essa o famosi.

Più di ogni altro momento, guardando il mare e le montagne di Oita dalla Beppu Tower, ho compreso la bellezza di ciò che ho compiuto. “Ce l’ho fatta, è finita…”. Solo nel corridoio circolare sospeso nel metallo, mi sono commosso come se avessi vinto una medaglia olimpica, come se fossi l’unico su un podio che io stesso avevo costruito.

Prendo il treno per l’ultima tappa quando ancora ho gli occhi umidi. Mi allontano dal mare per spingermi nell’entroterra della prefettura, più vicino ai confini di Fukuoka, a nord. La tappa finale non poteva che essere Usa (宇佐), sede di uno dei templi più importanti della storia giapponese, l’Usa Jingu (宇佐神宮), head temples di tutti gli Hachimangu della nazione, e secondo di importanza, per molti, solo all’Ise Jingu.

Una volta arrivato in stazione, ancora più piccola di quella di Beppu ma più affollata del previsto, mi serve circa un’ora costeggiando la strada principale per arrivare dalla stazione ai primi edifici rosso accesi dell’Usa Jingu.

Entrata orientale dell’Usa Jingu
Ootori

Usa Jingu consacra tre divinità principali. Il più importante di loro è Hachiman, lo spirito divinizzato dell’imperatore Ojin (il leggendario quindicesimo imperatore del Giappone). È venerato insieme a sua madre, l’imperatrice Jingu, e all’Hime Okami, un nome collettivo per un trio di dee del mare venerate ad Usa fin dai tempi antichi. Secondo i registri del santuario, Ojin, già in veste divina di Hachiman, apparve per la prima volta vicino al monte Ogura nel 571 e si dichiarò protettore del Giappone. Il luogo in cui fu sepolto Hachiman cambiò più volte finché nel 725 non fu scelto un sito sufficientemente grande in cima al monte Ogura e lì fu costruito un santuario, dove riposa fino ad oggi.

Accanto ad esso fu costruito un tempio chiamato Miroku-ji nel 779, rendendolo quello che si ritiene sia il primo tempio-santuario (jingū-ji) di sempre. Il complesso misto risultante, chiamato Usa Hachimangu-ji (宇佐八幡宮寺, Usa Hachiman Shrine Temple), durò oltre un millennio fino al 1868, quando la parte buddista fu rimossa per conformarsi all’Atto di Separazione di Kami e Buddha.

Il tempio affronta, prima della scissione, la parte più difficile della sua storia durante il XVII secolo quando il crescente fervore cristiano porta Otomo a pensare alla distruzione del tempio, al quale si oppone la moglie, altrettanto credente nell’autoctona religione giapponese.

Mi perdo nel verde intenso e nei suoni di ghiaia di passi altrove, quasi non miei. Mi immergo come fosse l’ultima volta, come fosse la prima volta, nonostante qualche umano di troppo nei miei dintorni.

Finestra che sbircia il monte Ogura, dove Hachiman si erse a protettore del Giappone per la prima volta…

A causa della sua origine religiosa mista, una delle feste più importanti del santuario è l’hōjō-e (放生会), originariamente una cerimonia buddista in cui vengono liberati uccelli e pesci in cattività. La cerimonia è accompagnata da danze sacre kagura intese a commemorare le anime dei pesci uccisi dai pescatori durante l’anno precedente, in relazione al culto delle Hime Okami menzionato prima. Questo rito sincretico che fonde buddismo e shintoismo, ora celebrato in molti santuari in tutto il paese, ebbe luogo per la prima volta nell’Usa Jingu.

Edificio che è adibito al Tresure Museum dell’Usa Jingu
Le lanterne sulla via del ritorno…

Sulla via del ritorno, ancora nei sentieri sacri dell’Usa, mi saluta una ragazza. Bella, piena, sorridente, la parte di coscia scoperta tra i collant e la gonna… Inebriato, sovrappensiero forse, non abituato, l’unica cosa che so dire è “ciao” in risposta al suo “ciao”. Nient’altro. Ci passiamo di fianco, ognuno continuando la propria strada nella ghiaia del temp(i)o. Mi lamenterò di me stesso (con me stesso e con gli altri) e della mia inettitudine poco italiana per almeno una settimana. E ancora adesso storco il naso per questa e per tutte le opportunità che mi sono tolto da solo, ancor prima di tentare.

Piccolo deviazione per questo gioiello, il 八十八体の仏様 (Yasohachitai no Hotoke-sama), ovvero “Le 88 rapprentazioni del Buddha”, che consiste come vedete in un rientranza nella montagna sostenuta da evidenti ponteggi. Non è nulla che ricordi un tempio, eccetto la cassette delle offerte e la quasi perfetta conservazione delle statue (cosa che non si direbbe, data la condizione generale del sito)
I red spider lily (Giglio ragno rosso), mai visti così tanti come in queste zone…

Mi allontano velocemente dal tempio per la vergogna. Ma continuo a guardarmi indietro, anche quando il paesaggio cambia, anche quando cambiano le prefetture e la velocità del treno è tornata allo standard degli Shinkansen. Sto tornando a casa. E pur non avendo che il mio zaino, il bagaglio che ho con me è il più pesante che abbiamo mai portato. Sento tutto il potere di Hachiman e di Usa sorgere dietro gli ultimi passi lasciati sull’asfalto della città. Grido dentro. Impresa compiuta. Impresa compiuta…

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